2 marzo 2014 – Aleppo, Ma’abar al Karaje
Aleppo è la città siriana più popolata, con circa tre milioni di abitanti. Cuore economico del Paese, patrimonio dell’Unesco, dall’inizio della repressione in Siria è stata una delle città più colpite dalla campagna di arresti preventivi nelle università e nei luoghi di cultura. Le milizie del regime hanno fatto irruzione nella città già dalla fine del 2011, suscitando la reazione dell’opposizione e del neonato esercito siriano libero e gradualmente si sono create, quasi a macchia di leopardo, zone sotto il controllo delle milizie governative e zone sotto il controllo dell’opposizione. Fino all’ulteriore cambiamento di scenario, con l’insediamento di bande armate (Isis-al Qaeda), che sono andate a operare nelle zone dalle quali le truppe di assad si erano ritirate, commettendo stragi ai danni dei civili e dell’esercito siriano libero, confermando, per l’ennesima volta, che queste bande e il regime non sono altro che le due facce della stessa medaglia. Ad aggravare ulteriormente la situazione e la violazione dei diritti umani della popolazione civile, sono subentrati i bombardamenti con i famigerati barili TNT, che negli ultimi mesi hanno devastato interi quartieri residenziali, provocando migliaia di vittime, mutilati, sfollati.
In questo scenario molti dei punti nevralgici della città, come le strade d’ingresso, le principali vie commerciali, gli snodi e i collegamenti con le altre città, si sono trovate divise in due. La scorsa estate, durante la mia visita ad Aleppo, ho percorso la strada di Ma’abar al Karaje, divisa in due da barricate di cemento e da due pullman per il trasporto pubblico posti uno sopra l’altro. Una visione impressionante, di una città devastata, di una popolazione costretta a vivere in condizioni di disumane, con parenti, amici e conoscenti non più in grado di comunicare gli uni con gli altri a causa dei posti di blocco e dei pericoli.
Proprio quel punto della città di Aleppo è stato teatro, negli ultimi mesi, a seguito del parziale ritiro delle milizie governative di terra, di scene apocalittiche, con migliaia di famiglie in colonna per fuggire dai bombardamenti; le stragi provocate dai bombardamenti del regime proprio su quel fiume umano hanno provocato la chiusura della strada per diverse settimane e la sua successiva riapertura, ma solo in modo parziale.
La foto risale allo scorso agosto ed è stata fatta da me, mentre i video documentano la situazione a Ma’aber al Karaje rispettivamente il 4 febbraio 2014 e oggi, 2 marzo 2014.
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