29 maggio 2013 – periferia di Hama
“Presto, scappate. Uscite con quello che avete addosso. Non c’è tempo. Sta arrivando l’esercito, stanno arrivando i shabbiha. Sbrigatavi”.
Così decine di famiglie vengono avvisate dell’ingresso immediato delle milizie nelle città. Il loro arrivo significa violenza; significa irruzione nelle case; arresti indiscriminati; saccheggi e distruzioni. Significa violenze, stupri contro le donne, contro i bambini massacri…
Quando arriva l’allarme bisogna pensare solo ad andare il più lontano possibile. Così le donne e i bambini salgono su mezzi di fortuna, carri agricoli, pic-up, furgoncini. Si va verso altre località, in una fuga dalla morte. E’ come addentrarsi in un labirinto senza uscita: fuggitivi, esuli, profughi, sfollati nella loro stessa patria.
Indosso solo i vestiti, mentre nelle case restano gli effetti personali, i ricordi di una vita, il tetto protettivo. Negli occhi il terrore di chi ha avuto il sentore della morte… l’ha sentita avvicinarsi… l’ha vista ondeggiare macabra e spietata…
Osservate queste donne, questi bambini… sono esseri umani come noi… o forse non li consideriamo più tali?
Cosa può voler dire fuggire dal proprio nido indossando solo l’abito della paura? Proviamo a chiudere gli occhi e a immaginare noi stessi, le nostre famiglie appesi alla vita da un sogno di fuga, stipati su un carro per sparire dagli occhi di chi semina ovunque la morte…
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