Giardini trasformati in cimiteri nella Siria che non è “Il paese del male”

Bab Sba, Homs 2 dicembre 20132 dicembre 2013 – Homs, quartiere di Bab Sba’à

Una distesa di lapidi e buche scavate nella terra,  in quello che un tempo era un giardino, un parco pubblico dove i bambini siriani giocavano. Oggi i bambini arrivano in quello stesso parco tenuti in braccio dagli adulti, avvolti in piccoli sudari bianchi; in molti casi non hanno neppure quelli e ci sono solo le loro copertine a coprirli. I dati ufficiali parlano di oltre 11 mila bambini uccisi in 33 mesi.

“Ormai seppelliamo i nostri morti nel centro abitato: i cimiteri sono pieni ed è impossibile raggiungerli perché sono appostati i cecchini. Molti giardini sono diventati cimiteri. Ci troviamo a scavare buche preventivamente, così, ad ogni  nuovo massacro, sappiamo dove portare i nostri martiri… a volte i loro corpi sono a brandelli. Il regime bombarda pure i cimiteri. Ci sono tante tombe piccole qui…”. E’ la drammatica testimonianza del citizen reporter Bebars Tellawe, che dal cuore della città assediata di Homs mostra il volto tumefatto di una città sotto assedio da oltre 530 giorni, dove continuano a morire cittadini inermi. Questa è Homs, questa è la Siria oggi.

Giardini trasformati in cimiteri, ospedali rasi al suolo, scuole distrutte, case che crollano insieme ai sogni di chi le abitava, luoghi di preghiera, siti culturali e archeologici che si sgretolano come granelli di sabbia, cancellando millenni di storia e minando, alle basi e  l’identità di un intero popolo.

Bambini uccisi prima ancora di aver assaporato la vita, genitori che si trovano a tumulare i propri figli, anziani che vagano per strade ormai irriconoscibili dai bombardamenti, giovani in prigioni a cielo aperto di desolazione e dolore … in Siria, in quella terra che è stata culla dell’umanità,  vocata alla cultura e all’accoglienza, simbolo da secoli di convivenza e rispetto delle diversità. In quella Siria dove oggi si muore, a quattro ore di volo dall’Italia, in quella Siria dove i bambini assistono ai bombardamenti e non c’è modo di proteggere i loro corpicini e le loro menti dagli orrori che ne conseguono e di cui porteranno per sempre i segni.

Perché una bomba, anche quando non ti tocca, ti segna profondamente. La prima volta che ho visto un aereo militare sganciare una bomba, lo scorso agosto,  ho osservato da lontano una colonna di fumo prima scendere rapida e sottile, poi risalire gonfia; era come se quell’esplosione squarciasse il cielo e con esso l’anima di un’umanità mortificata dalla sua stessa crudeltà e ancor di più dalla sua indifferenza. Poi il boato… terrificante. Sotto quel fumo morivano decine di persone. Ero nel nord della Siria e sulla mia borsa con l’attrezzatura da freelance avevo un fiocchetto giallo, simbolo di un desiderio, di una richiesta: il rilascio immediato di un collega italiano rapito in Siria…

E poi… un lieto fine grazie a Dio e il fiocco che andava a finire in una scatolina di ricordi e poi l’attesa, che guarissero le comprensibili ferite di chi ha vissuto un’esperienza terrificante… e poi… poi però il gelo. Nessun fiocco, nessuna parola, nessuna pietà per quei bambini che ora popolano i giardini, ma non per giocare spensierati e riempire l’aria con le loro vocine piene di vita, bensì come corpicini esanimi sistemati uno accanto all’altro. Anzi, su di loro, oltre alle manciate di terra gettate per seppellirli tra le lacrime e la disperazione, si crea confusione, si getta fango.

Non si calpestano così i morti, non si assiste impassibili all’esecuzione di una condanna che colpisce un intero popolo.

Per tutti quei bambini strappati alla vita dalla violenza, senza alcuna colpa, senza la pietà del resto del mondo: no, la Siria non è il paese del male. E’ un paese che il male lo sta subendo, nell’indifferenza dell’umanità.