21 giugno 2013 – Homs, quartiere di Al Khaldiya
Dal 9 giugno 2012 i quartieri centrali della città vecchia di Homs sono sotto assedio.
I bambini delle 800 famiglie intrappolate in quella che è ormai a tutti gli effetti una prigione a cielo aperto – prigione su cui piovono, ininterrottamente, ordigni di ogni genere – stanno crescendo nella guerra.
Convivono con le bombe, con gli spari dei cecchini; camminano, giocano, si muovono in mezzo alle macerie.
Non sanno più cosa sia l’acqua del rubinetto, la corrente elettrica; i loro pasti si limitano a grano, riso e pasta in bianco; fingono di mangiare frutta e verdura raccogliendo le foglie sugli alberi. Persino il pollo è diventato un sogno.
Nei loro racconti ci sono sempre “bashar e i suoi, che ci vogliono uccidere” e i “militari buoni, che ci vogliono proteggere”.
Nei loro discorsi ci sono sorelline, fratellini, genitori, amici che sono stati uccisi. Trova spazio persino la nostalgia: della scuola, dei giardini, degli amici.
Chi ha avuto la casa lesionata vive da sfollato in casa d’altri: così mancano anche gli effetti personali, i giochi, i vestiti, i libri.
Un’intera generazione sotto assedio. 28 mesi di guerra e 13 di assedio ci hanno abituato a vedere i volti di questi piccoli e a raccontare troppo spesso, purtroppo, le storie del loro martirio.
Oggi ci sono, giocano, cantano, si riuniscono e fanno finta di essere piccole cuoche o piccoli soldati; domani potrebbero non esserci più.
I loro occhi innocenti si sono abituati a vedere il sangue, la morte. Gli viene chiesto: cosa sognate di fare?
“Vorrei morire, andare in Paradiso e vedere la mia sorellina. L’ha uccisa una bomba” – risponde una delle piccole nel video sottostante.
A Homs c’è una generazione di bambini sotto assedio. Una generazione che rischia di non conoscere la parola domani.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.