2 giugno 2013 – Dar’à
In Siria si muore da 809 giorni.
Esecuzioni sommarie, spari di cecchini, bombardamenti con ogni sorta di ordigno che la mente disumana ha potuto escogitare.
Sotto quelle colonne di fumo nero stanno morendo le nostre famiglie.
Crollano case, prendono fuoco, muoiono innocenti, indifesi, civili inermi.
Il lutto della Siria si propaga a tutti quei paesi dove vivono esuli ed emigranti siriani.
Ognuno vive in dignitoso silenzio la sua sofferenza.
Il dolore si condivide con coloro che credono ancora nel valore della vita umana.
A chi dovrebbe occuparsi della pace nel mondo tutto ciò non interessa. Perché fermare la vendita di armi pesanti? Ne giova il mercato dell’industria bellica internazionale e in tempi di crisi non si chiude una fonte di guadagno. Mors tua, vita mea, dicevano nel Medioevo. Tutto sommato la perdita di vite umane in Siria non è poi così grave e a qualcuno permette di fare affari…
Per farci un’idea del giro d’affari che c’è dietro il massacro di un popolo, cito un passaggio tratto dal portale http://www.agoravox.it nell’agosto 2011, dal titolo: “Italia in crisi? Non nell’industria bellica. E che affari con la Libia”
“Ma vediamo i numeri: secondo il dossier, nonostante la crisi economica internazionale, “l’industria militare italiana nel 2009 ha lavorato a pieno ritmo per far fronte sia alle nuove commesse sia a quelle già autorizzate negli anni precedenti, tanto che le consegne effettive di armamenti nel 2010 hanno raggiunto la cifra record degli ultimi vent’anni: si tratta quasi 2,8 miliardi di euro, rispetto ai 2,2 miliardi di euro del 2009, con un incremento quasi del 25%. Il trend delle effettive consegne di materiali d’armamento è in costante crescita nell’ultimo decennio: si passa – in valori costanti – dai circa 500 milioni di euro del 2004 a quasi 2,8 miliardi di euro nel 2010, con un incremento in otto anni pari al 460%”.
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