Sono almeno tre le caratteristiche comuni a tutti gli assembramenti nelle piazze siriane, emerse sin dai primi giorni:
1- La natura pacifica delle proteste;
2- Il loro carattere spontaneo;
3- Il loro essere molto partecipate.
Sono tutti aspetti particolarmente significativi: i giovani siriani che hanno infranto il regime di coprifuoco, si sono organizzati, così come i coetanei egiziani e tunisini, attraverso la rete. Non esistendo un’opposizione formale in Siria, mancando luoghi di confronto e di dibattito aperto, ci si è mossi attraverso i social network, organizzando eventi e dandosi appuntamento tramite Facebook e Twitter, correndo poi a caricare le foto e i video in rete per condividerli. Questo aspetto, ha determinato la definizione della rivolta in Siria come la “Rivolta di Facebook”; un’altra definizione è quella di “Rivolta orizzontale”, proprio per il fatto che le notizie, gli aggiornamenti, le iniziative, si sono di volta in volta diffuse tramite il passaparola virtuale. In assenza di una regia, di un punto di riferimento che indirizzasse i manifestanti, sono stati essi stessi a prendere in mano le redini della situazione, organizzandosi in modo davvero sorprendente, anche per il numero delle adesioni che i diversi raduni hanno registrato. Per dare un’idea delle proporzioni di simili manifestazioni, basta ricordare che a luglio del 2011 a Hama si è arrivati a contare oltre mezzo milione di persone scese nella principale piazza della città: non bisogna dimenticare che Hama aveva un conto in sospeso con la dinastia degli assad, per via del massacro del 1982.
Uno dei primi slogan innalzati dalle piazze siriane è stato “Silmye-silmye”, ovvero Pacifica –pacifica e Surya bidda horrie cioè la Siria vuole libertà. Altro slogan molto gettonato era erhal, ciò vattene, così come se ne era andato Ben Alì dalla Tunisia. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, i siriani si sono letteralmente ingegnati creando slogan, canzoni, ritornelli, ideando coreografie e innalzando cartelli e striscioni per esprimere i propri sentimenti e condividerli con gli altri e per la prima volta, infrangendo ogni tabu, i video e le immagini di queste proteste vengono condivisi con il resto della Siria e con il mondo attraverso la rete. Tutto assume l’aspetto di una grande festa: vengono montati palchi o comunque la persona o le persone che cantano vengono fatte salire su una sedia e messe, come in un concerto, di fronte al “pubblico”, che ripete, applaude, fischia, senza mai smettere di fare riprese con i telefonini.
È così che il mondo conosce e impara uno dei ritornelli in assoluto più gettonato e ripetuto nelle pizze della Siria e che viene immediatamente adottato dai manifestanti all’estero Yallah erhal ya Bashar, che significa “Dai, vattene Bashar”, ideato e cantato da un trentenne di Hama, Ibrahim Qashoush. Sulla storia di questo usignolo dalla voce allo stesso tempo dolce, ma forte, tornerò nella parte dedicata ai protagonisti della rivolta perché, Qashoush è diventato, in tutto e per tutto, uno degli emblemi della rivolta siriana. Identificato dai servizi segreti come ideatore e interprete di canzoni contro il regime, è stato sequestrato e ucciso, non con un proiettile, ma con il taglio della gola e l’asportazione delle sue corde vocali. La sua morte doveva, per i fedeli di assad, far tacere le voci dei giovani siriani. Oggi, a quasi un anno dalla sua scomparsa, il suo nome viene usato come un aggettivo, per definire tutti quei giovani che combattono il regime con la propria voce: Qashoush al-sawra, cioè il Qashoush della rivolta e le sue canzoni sono cliccatissime su Youtube e ripetute in tutti i cortei.
Il fatto che in tutti i ritrovi si inneggiasse ad un atteggiamento pacifico era un chiaro segno della volontà del popolo siriano, di voler dar vita ad una fase di cambiamento e transizione, senza il versamento di sangue, senza violenze, né perdita di vite umane. La reazione del regime, sin dai primi giorni, tuttavia, è stata tutt’altro che di apertura, con un crescendo di azioni violente che non ha precedenti nella storia. Anche di fronte alle stragi che l’esercito commetteva nelle diverse città, il fondamento pacifico delle proteste non è venuto meno: i giovani della rivoluzione non cercavano lo scontro con i fedeli del regime o i coetanei del partito Ba’th, il loro scopo era radunare quante più persone possibili nelle piazze per darsi reciprocamente coraggio e per mostrare ad assad e al mondo intero la propria volontà. Università e luoghi di culto diventano, oltre alle pizze virtuali della rete, i punti in cui ci si confronta e ci si scambia idee, ci si organizza per la manifestazione successiva, ma questo aspetto non sfugge ai militari, che presidiano le uscite delle moschee e irrompono più volte negli atenei per schedare coloro che considera rivoltosi e quindi fuorilegge.
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