La rivolta siriana contro il regime di assad: l’inizio

Dar'àLa data ufficiale a cui si fa risalire l’inizio delle proteste del popolo siriano contro il regime di Bashar Assad e il potere del partito Ba’th è quella del 15 marzo 2011. Una data storica, che ha segnato, per i siriani in Patria e i siriani della diaspora, l’inizio di un cammino, lungo e difficile, ma tanto agognato e rimasto in standby per decenni: quello verso la libertà. Con l’inizio della cosiddetta Primavera Araba in molti si sono chiesti se anche in Siria, dopo la Tunisia, l’Egitto, la Libia e lo Yemen, la popolazione si sarebbe mossa e sarebbe scesa in piazza per chiedere la caduta del regime. In fondo, non si sarebbe trattato di inventare nulla di nuovo: il seme della libertà è sì rimasto nascosto per un lungo periodo (almeno un trentennio durante il quale l’ombra del massacro di Hama ha spento sul nascere ogni idea di rivolta), ma in questo tempo ha piantato solide radici, come confermano i fatti, giorno dopo giorno.

  1. 1.      La scuola di Dar’à

Ma cosa è accaduto quel fatidico 15 marzo 2011? La fiamma della rivolta si è accesa a Dar’à. Un gruppo di bambini di dieci anni, seguendo in TV le notizie delle rivolte nei Paesi arabi, in particolare in Egitto, con i giovani che si radunavano nelle piazze e scandivano slogan contro il regime, ha deciso di emulare le loro gesta, scrivendo sul muro della propria scuola “Il popolo vuole la caduta del regime”. L’intervento dei mukhabarat, servizi segreti, è stato immediato: quindici bambini del quarto anno sono stati sequestrati e condotti a Damasco. L’immediata reazione delle famiglie, che hanno chiesto la loro liberazione, non è servita a placare la violenza del regime, che li ha tenuti in uno stato di detenzione per ben tre settimane, sottoponendoli persino a torture. Durante il periodo del loro sequestro, i capi delle tribù a cui appartengono le famiglie dei bambini, hanno incontrato i servizi segreti locali, per chiedere la loro liberazione, annunciando che non sarebbero rimasti a guardare. In quei difficili giorni, infatti, infrangendo il regime di coprifuoco che in Siria vige da oltre quaranta anni, la gente di Dar’à, città del Sud, fortemente legata ai valori tradizionali, è scesa nelle strade a protestare, in modo pacifico, scandendo slogan e gridando, ma per tutta risposta il regime ha deciso di usare la violenza, ordinando arresti indiscriminati, anche ai danni di bambini e adolescenti e aprendo il fuoco sui manifestanti. 

Sono così caduti i primi venti martiri e la loro morte, insieme alla notizia del sequestro e della detenzione a Damasco dei quindici bambini della scuola elementare di Dar’à, ha infiammato le proteste in tutta la Siria. Decine di manifestazioni spontanee sono state organizzate in diverse città, prime tra tutte Hama e Homs, insieme a Dar’à e Latakia e alcune statue raffiguranti Assad padre a Assad figlio, sono state distrutte. Un gesto, questo, che agli occhi del regime risulta più grave persino dell’uccisione di una persona. La repressione si inasprisce e il numero dei morti nelle strade e nelle piazze sale in modo preoccupante, ma in modo direttamente proporzionale aumentano le manifestazioni, i raduni di piazza e i ritrovi di centinaia di migliaia di siriani. Quello che il regime forse pensava di controllare mettendo in atto un’azione sconvolgente, come quella del sequestro e della tortura ai danni di bambini, ricorrendo cioè alla logica della paura e del terrore, si è dimostrato, invece, come un qualcosa di ormai incontenibile, uno “tsunami umano”, come è stato definito da più parti, con una missione ben definita: rovesciare il regime di Bashar Assad.

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