Un susseguirsi di parole mancate, in giorni che si rincorrono inesorabili, tracciando un passaggio muto della vita.
Pagine bianche sulla Siria, in mattine scandite dalle bombe e dal silenzio.
Fogli diventati rigidi come pietra dove le lacrime degli innocenti si son seccate e le parole dei carnefici fluiscono ancora come lava ardente.
Le dita immobili sulla tastiera che non cedono nemmeno al contatto familiare della penna. Non si può raccontare.
È come aver dimenticato le regole della scrittura prima ancora di quelle del giornalismo. Un’amnesia temporanea iniziata là dove l’anima si è bloccata, tra le orme dei giovani di Homs usciti come fantasmi dall’assedio baciando la loro terra e promettendo di tornare, tra i civili di Aleppo che non hanno più acqua, nemmeno dal cielo, perché ormai piovono solo bombe, tra i corpi gracili di Yarmuk, dove i figli di un’umanità in fuga vengono lasciati morire di stenti, tra le macerie di Daraia, dove si sacrifica il passato e con esso l’identità di un popolo e dell’umanità.
Sussurri di voci libere coperti dal boato della menzogna, che cuce per il genocidio la veste dell’ipocrisia accomodante, sì che la vittima diventa carnefice e il carnefice tutore del diritto.
Fino alla prima goccia di inchiostro.
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