Dal mio viaggio in Siria – Periferia di Aleppo, agosto 2013
Durante gli spostamenti da un luogo all’altro in provincia di Aleppo ho incontrato molte persone, che mi hanno raccontato le loro storie. Ho incontrato anche una bimba che chiamerò, per ragioni di riservatezza, Rahma. Era seduta su un marciapiede e piangeva. L’ho immortalata da lontano, poi mi sono seduta al suo fianco. Le ho chiesto perché piangesse.
“Ogni volta che vedo arrivare un’auto spero che sia mio padre. Invece ho visto voi. Mi manca tanto, non voglio vivere senza di lui”, mi dice tra i singhiozzi. Rahma aspetta il padre e ogni volta che un’auto percorre quella strada, corre e spera che, quando si aprirà la portiera, lui scenderà e non la lascerà più. Mi racconta che il padre faceva il meccanico. che lavorava vicino a casa. “L’hanno preso i shabbiha – le milizie paramilitari al servizio di assad – dopo averlo picchiato davanti ai nostri occhi. Io e mio fratello, che ha sei anni, eravamo da lui per portargli il pranzo. Era giugno dello scorso anno. Ci piaceva guardarlo mentre riparava le auto; da lui venivano tante persone; tutti lo chiamavano Muallim, maestro. Quando sono arrivati i shabbiha hanno cominciato a urlare, a picchiare lui e i suoi colleghi. Poi lo hanno portato via. Non lo abbiamo più visto. Lui mi diceva sempre che non ci avrebbe mai lasciato. Sono morti gli zii sotto le bombe e i loro figli sono rimasti soli. Lui mi ha promesso che non se ne sarebbe mai andato. Io lo aspetto ogni giorno…”.
Rahma piange silenziosamente, la sua speranza è grande tanto quanto la paura di rimanere sola. E’ inconsolabile e non ci sono parole per rincuorarla. E’ una bimba che vive in una zona di guerra e non sa più nulla del padre. La sua è una storia come tante in Siria; per ascoltarla bisogna mettersi ad altezza di bambino, aprire il cuore, la mente.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.