
Nel 1922 Thomas Stearns Eliot consegnò al mondo i celeberrimi versi della sua opera “The Waste land”, immortalando il suo pensiero per cui “April is the cruellest month“. Secondo il poeta anglo-americano, aprile, con quell’inattesa e folle voglia di vivere, col fiorire di lillà e la mescolanza di memoria e desiderio è il mese più crudele perché non ha quella “neve di dimenticanza” che copre la terra d’inverno.
Ai miei occhi, invece, aprile, come settembre, è sempre stato un mese-ponte, un periodo di passaggio, di evoluzione da una condizione all’altra. Sono un’amante dei colori autunnali, delle giornate tiepide e ancora piuttosto lunghe, delle foglie che piovono e piovendo si fanno tappeti su cui volano sogni e pensieri. Il mio aprile eliotiano è arrivato a ottobre di sei anni fa, quando ho prematuramente perso mia sorella. Non amo parlare del mio privato, ma qui è il mio privato che ha parlato per la mia coscienza, mettendo insieme le parole per comporre la frase “Ho perso mia sorella”. Non riesco a scrivere “è morta”, perché la sua anima è talmente viva che commetterei un torto. Scrivo e pronuncio la parola “persa”, perché quando si perde qualcosa a cui si tiene, inevitabilmente, lo si continua a cercare. Cerco qualcuno che non è più fisicamente qui. Cerco un fantasma. Da piccoli ci dicevano che i fantasmi non esistono, eppure ognuno di noi ne ha incontrati nei momenti di febbre infantile e poi nei deliri desolati da adulto.
Oltre un anno fa, in uno dei miei numerosi viaggi da e per Roma avevo in borsa un libro, ma anche il Kindle, dispositivo su cui scarico soprattutto le anteprime dei nuovi volumi e molte sillogi poetiche. Sono un’inguaribile amante del libro cartaceo e solitamente faccio tappa alla libreria della stazione, ma quel giorno rischiavo di perdere il treno (che partiva dal famigerato binario 2 Est). Durante il viaggio, durato per diversi motivi due ore più del dovuto, ho finito il libro cartaceo che avevo e ho iniziato a leggere sul Kindle l’anteprima di “Addio ai fantasmi“, (Einaudi Editore), di Nadia Terranova. Il libro mi ha rapito il cuore, tanto che ho finito per acquistarlo in versione Kindle pur di non interrompere la lettura, che ho poi continuato per tutta la notte.

“Nessuna risposta può placare i sopravvissuti. Esiste un armadio pieno di risposte diverse che i vivi si misurano a seconda della giornata“. Più leggevo le parole di Nadia, che avevo avuto il piacere di conoscere a Firenze anni prima, e più mi sembrava di trovare scritti pensieri, sentimenti, situazioni che ho conosciuto da vicino, che ho vissuto sulla mia pelle. Di Nadia mi ha colpito lo stile narrativo, la delicatezza delle parole scelte, la forza evocativa delle situazioni descritte. Così il padre della protagonista del romanzo e mia sorella, i fantasmi che ci sono, ma non ci sono, si sono sovrapposti nella mia mente in inediti incontri. Avrei voluto scrivere subito una recensione per rendere omaggio all’arte letteraria dell’autrice, ma non mi è riuscito. “I fantasmi” c’erano, ma mi mancava la forza dell’addio.

Il 9 marzo di questo strano 2020 sono atterrata a Roma da Addis Abeba, tornando in Italia dopo un lungo viaggio in Etiopia dove ho realizzato un reportage dedicato alle bambine e alle donne lavoratrici domestiche e ai progetti per portare acqua nei villaggi. Stanca, ma come tutti i viaggiatori carica di idee, con un bagaglio pieno di foto e interviste, ho trovato Roma e l’Italia diverse da come le avevo lasciate. Era il primo giorno di blocco totale, il cosiddetto lockdown (odio gli inglesismi). In quei giorni il tempo dedicato alla lettura e alla scrittura è in qualche modo aumentato, ma è successo qualcos’altro. Era come se “i fantasmi” chiedessero la libertà di andarsene. Cosa scatta nella mente umana non è facile da spiegare, ma avevo voglia di scrivere una recensione del libro di Nadia. Ho cercato il volume per tre giorni, senza trovarlo in nessuna delle mie librerie. Anche quell’opera era diventata un fantasma. Poi mi sono finalmente ricordata del Kindle. No, non volevo recensire un ebook. Ho ordinato il libro cartaceo e finalmente l’ho potuto sfogliare, annusare, accarezzare e sottolineare (benedetti gli acquisti online). Finito il periodo di clausura in cui ho familiarizzato con voci e suoni del quartiere in cui vivo da tanti anni e ho visto crescere e morire i tulipani, la recensione era ancora un foglio bianco.

Poi è arrivato ottobre. Sulla mia scrivania hanno continuato ad andare e venire libri, in un alternarsi incessante di narrativa, saggistica, fotografia e poesia. “Tutti abbiamo perso qualcuno e sappiamo quanto lunghissimo e ingiusto sia il tempo davanti a noi, il tempo senza quella persona. Il tempo che cominceremo a contare anno dopo anno, a partire dalla perdita“. Nadia Terranova dipinge le sue parole su una tela su cui da lungo tempo si è fissato il mio sguardo. No, stavolta la mia non sarà una recensione. Non ne ha la struttura. Il mio è quasi un dialogo in un’agorà vuota, parlo da sola, uso la prima persona. In redazione sarebbe un testo da segnare con la matita rossa, una matita però, che sa indicare gli errori con dolcezza, come quella della professoressa Mastrovincenzo, che al liceo mi riconsegnò un tema segnando in rosso un errore e scrivendo in blu un appunto: “Abbraccio si scrive con due b, ma tua sei talmente delicata che abbracci con una b sola“. Non ho più dimenticato con quante b si abbracciano gli altri, si abbracciano le idee, si abbracciano i ricordi. Ora che non possiamo più abbracciare, ora che siamo al sesto ottobre di lontananza, quell'”Addio ai fantasmi” uscito dalla penna raffinata di Nadia, diventa sempre più anche mio e questa non recensione vuole essere un omaggio all’autrice, che con la sua profondità e ricchezza, forse inconsapevolmente, ha fatto incontrare molte persone con i loro fantasmi.

Spero che Nadia mi perdoni per aver scritto questa non recensione, ma mi è sembrato bello dare voce a quello che la sua opera, vincitrice di numerosi premi e finalista al Premio Strega ha suscitato in me. C’è poi un ultimo, ma non ultimo concetto che l’autrice ha espresso meravigliosamente. “La mia casa non è nessuna delle due, sta in mezzo a due mari e a due terre. La mia casa è qui, adesso“. Scritto da una messinese che vive nella capitale, è un pensiero che incarna perfettamente i sentimenti di un’italo-siriana come me, nata in una bellissima città levantina, Ancona, con origini dall’altra parte del mare, nella splendida e ferita Aleppo. Un abbraccio (con due b) a te e alla tua penna cara Nadia.
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