“Oggi, insieme alle notizie da Homs assediata, ho condiviso un video di zekrayat” – scrive Bebars su Skype.
Scorro i link e trovo il video a cui si riferisce: zekrayat significa ricordi; nelle immagini, girate il 30 marzo 2012, Bebars è all’interno di uno dei luoghi simbolo della città di Homs e della Siria tutta, la moschea di Khalid Ibn Al Walid. Sono passati quasi due anni da allora. Bebars raccontava dell’assedio e dei bombardamenti e della presenza dei shabbiha (le milizie paragovernative soprannominate “fantasmi”). All’uscita della moschea, indicando alcune barelle, una bara vuota e delle piante morte, il giovane dice: “Siamo tutti su questa strada. Siamo tutti destinati a morire. Spero di morire da martire. Qui ci stanno bombardando”.
Sono passati due anni; le cose a Homs, come nel resto della Siria, si sono ulteriormente aggravate rispetto al marzo del 2012. Ci sono stati migliaia di morti, feriti, sfollati; l’assedio iniziato allora oggi continua ad uccidere bambini e anziani che non reggono agli stenti e alla mancanza di cure. Anche la situazione nella moschea è cambiata. I massicci e ripetuti bombardamenti del regime hanno distrutto in parte il luogo di culto, diventato ormai impraticabile per i fedeli. All’interno della moschea è conservata la salma del compagno del Profeta Khalid Ibn Al Walid, che dà il nome al luogo di culto. Si tratta di una delle figure simbolo dell’islam sunnita, caro alla comunità mondiale dei credenti. Eppure la distruzione di questo masjid non ha suscitato l’indignazione dei fedeli dell’islam, che sembrano quasi non essersene accorti. Chissà se la scena dei bombardamenti di una moschea fosse stata pensata da un regista europeo per una sua pellicola… avremmo visto cortei, proteste, si sarebbe mosso il mondo per “l’indignazione”. Invece, di fronte alle scene reali della distruzione di luoghi di preghiera, in Siria, si resta impassibili. Non c’è da stupirsi: se si pensa alle oltre 150 mila vittime dimenticate, che importanza dovrebbero avere i luoghi? Nessuna.
Bebars mi parla di nostalgia, ma non del tempo prima dell’inizio della repressione; “all’epoca, mi dice, non eravamo persone libere. La stessa parola libertà non esisteva nel nostro dizionario”. Mi dice che ha nostalgia “del tempo delle manifestazioni, dei cortei canterini e pacifici, di quando i giovani a Homs respiravano per la prima volta il profumo della libertà e sognavano il cambiamento”. Chi conosce la storia della rivolta in Siria non può non capirlo. La violenza, la repressione, l’assedio, l’indifferenza complice della comunità internazionale hanno tradito quei sogni, hanno tradito quei giovani, hanno tradito i valori che fondano la stessa società civile.
Video 1 – 30 marzo 2012, il media attivista Bebar Al Talawy all’interno della moschea di Khalid Ibn Al Walid racconta l’assedio e i bombardamenti su Homs
Video 2 – 7 luglio 2013 – Bombardamenti su Homs e sulla moschea di Khalid Ibn Al Walid
Video 3 – 9 luglio 2013 – Bombardamenti su Homs e sulla moschea di Khalid Ibn Al Walid
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