Dall’Italia a Ginevra per dar voce alla Siria

1505270_400704800074661_1646322249_nAnnalisa Roveroni, Presidente dell’Istituto per lo sviluppo olistico di Ostia Parmense, racconta il suo viaggio a Ginevra in occasione dei colloqui sulla Siria

Cosa ti ha spinto ad andare a Ginevra venerdì 24 gennaio?

“L’idea di andare a Ginevra davanti al palazzo delle Nazioni Unite dove si tiene la Conferenza internazionale sulla Siria è nata in modo quasi automatico, sull’onda della mobilitazione globale della Giornata di Solidarietà con la Siria, che avevamo organizzato anche in varie città italiane sabato 11 gennaio. Nella stessa occasione era stata lanciata una petizione per chiedere la protezione dei civili in Siria e il rispetto dei diritti umani; firme che erano indirizzate alle Nazioni Unite per far pressione in vista di Ginevra 2”.

Chi ha organizzato il viaggio? Quale clima ha trovato tra i tuoi compagni di viaggio? “L’appuntamento degli attivisti internazionali a Ginevra “per far sentire la voce del popolo siriano” era previsto per venerdì pomeriggio 24 gennaio (https://www.facebook.com/events/1510412165850655/) e l’Italia ha risposto con due diversi appelli, il primo partito da Torino dal Comitato per i diritti umani in Siria di Mahmoud Ghadri e il secondo – anche in ordine di tempo – dell’Associazione Insieme per la Siria Libera, gruppi che poi sono confluiti in un unico pullman partito da Milano nelle prime ore del mattino di venerdì.  In effetti, la giornata lavorativa della manifestazione nella città elvetica aveva impedito la partecipazione di molti, tanto che anche con un solo pullman erano rimasti alcuni posti liberi. L’obiettivo comune di fare il bene della causa siriana in un momento così drammatico per il suo popolo e cruciale politicamente ha fatto sì che il clima tra i/le partecipanti italiani/e-siriane/i durante il viaggio e la manifestazione fosse fraterno e di amicizia, nonostante gli attriti iniziali (tra italo-siriani) evidenziati dai due eventi distinti”.

A Ginevra, che aria tirava? Avete incontrato attivisti di altre nazioni?

Il gruppo dall’Italia – composto da siriani/e di origine provenienti da Venezia, Roma, Bologna, Crema oltre che Milano e Torino e con me e Sergio Castagna in rappresentanza del popolo italiano solidale con quello siriano – è giunto a Ginevra poco prima delle tredici, in una bellissima giornata di sole. Subito dal pullman abbiamo avuto un primo (e unico) contatto con i manifestanti pro-regime, davanti al Palazzo Wilson in riva al Lago di Ginevra, poche decine di persone tenute lontane dal luogo principale dell’evento, la nostra Place des Nations. Già questo fatto per noi è stato un segno inequivocabile della preferenza accordataci dai padroni di casa elvetici, un buon segno! Poco dopo, la vista della Piazza davanti al palazzo dell’ONU è stata un momento di gioia liberatoria, con tutte le bandiere della Siria libera sventolanti, i canti, i colori di centinaia di attivisti/e per la causa siriana, provenienti da tutta Europa e oltre, riuniti insieme! Moltissimi ovviamente i siriani/e svizzeri, oltre a quelli provenienti dalla Francia, dalla Germania, dall’Olanda, dall’Austria e da tanti altri Paesi, e tantissimi anche i non siriani presenti per dire basta ai crimini del regime e per chiedere che siano ascoltate le richieste angoscianti di soccorso provenienti dai siriani sotto assedio, sotto le bombe o imprigionati nelle carceri del regime. Ciò che più mi ha colpito è stata la varietà delle bandiere presenti in piazza, oltre a quella comune della Siria libera con le tre stelle rosse, rappresentanti le differenti appartenenze che si riconoscono nella rivoluzione siriana: moltissime erano, infatti, anche le bandiere curde, con il sole al centro, oltre a quelle bianche e azzurre degli Assiri di Siria, ma anche quelle dell’opposizione iraniana della campagna Save the 7 (in sit-in permanente a Ginevra da oltre 100 giorni ma che si era abbastanza ben integrata venerdì con la manifestazione per la Siria libera) e quelle palestinesi per richiamare l’attenzione sul dramma del campo profughi di Yarmouk vicino a Damasco, dove già oltre 50 palestinesi sono morti per la fame e le malattie a causa del criminale assedio da parte delle forze del regime di Assad”.

Da conoscitrice della causa siriana, secondo te prevale l’ottimismo sull’esito dei colloqui, o lo sconforto?

Credo che la maggior parte dei manifestanti a Ginevra fosse in preda ad una specie di eccitazione collettiva, di sogno che le nostre speranze, le nostre preghiere finalmente si possano realizzare come per incanto tra le mura solide e rassicuranti delle Nazioni Unite, nella calma e ben organizzata Svizzera. Ma anche il fatto che fossimo così pochi tutto sommato, anche rispetto alle scorse manifestazioni che erano state organizzate sempre a Ginevra dagli attivisti siriani e che avevano visto fino a sei pullman aderire dall’Italia, lascia trasparire una stanchezza, uno scoramento profondo, una mancanza di prospettive dovuto ad un grave e angosciante peggioramento della situazione in Siria per il popolo che sostiene la rivoluzione e per il futuro di tutta la Siria. Personalmente ritengo che solo il fatto di negoziare a Ginevra con gli emissari del governo di Assad, che dovrebbero essere con lui portati in catene alla Corte Penale Internazionale per i gravissimi crimini commessi, sia di per sé un fallimento del diritto e della civiltà internazionale. Sono da sempre, per cultura, una sostenitrice convita dell’ONU ma nel caso della Siria credo che il Segretario Generale Ban Ki Moon e con lui Lahkadar Brahimi dovrebbero essersi dimessi da tempo per il fallimento che l’ONU, con il veto di Russia e Cina nel Consiglio di Sicurezza, sta sperimentando sulla pelle del popolo siriano. I segnali che vengono da questi primi tre giorni di negoziati a Ginevra sono tutt’altro che buoni. Per prima cosa, gli emissari del regime venerdì 24 avevano minacciato l’abbandono dei negoziati se si fosse parlato di governo di transizione dotato di pieni poteri, come invece prevede Ginevra I che ormai sembra andato nel dimenticatoio! E dopo due giorni di colloqui su Homs, all’ultimo il regime fa la proposta infida di far uscire donne e bambini e di avere una lista degli uomini, anziché di far entrare gli aiuti umanitari come richiesto dalla Coalizione dell’opposizione. Proposta incredibilmente subito fatta propria da Brahimi che come “mediatore” già l’annunciava alla stampa come cosa fatta e sulle liste di Homs del regime corre a dare la sua benedizione, “senza paura” e senza neppure stare a sentire prima cosa ne pensava la Coalizione!  Il “mediatore” (del regime mi viene da aggiungere) che continua al contempo a ripetere alla stampa che bisogna essere “lenti, molto lenti”, che ci vorranno “giorni e settimane”, mentre il regime bombarda con i barili le città siriane e lui non ne fa neanche parola per non far spazientire i rappresentanti del “Governo” criminale. Una cosa sappiamo bene: che il tempo è l’alleato del regime e chi chiede tempo …”.

Come italiana impegnata in prima fila per la causa siriana, cosa ti auguri?

“Mi augurerei che l’ONU non lasciasse in mano a Brahimi la soluzione della tragedia siriana. Lui non mi sembra la personalità che può con autorevolezza mettere alle strette il regime di Assad. In questo ruolo, vedrei piuttosto Navy Pillay, Alto commissario per i diritti umani Onu, o il nostro Giulio Terzi.  Ma i giochi degli stati sono al di fuori della mia capacità di previsione e tanto meno di influenza. Come attivista, anche al ritorno da Ginevra nel pullman, ho riproposto a chi mi stava vicino l’appello di Abuna/Padre Dall’Oglio, di cui ancora più in questo momento cruciale ci mancano consigli e opere: dobbiamo andare noi, cittadini del mondo, attivisti, persone semplici, “diplomazia popolare” dal basso, in Siria o almeno ai suoi confini in Turchia, per far intendere chiaramente ai potenti che il sangue versato dai siriani, dalle donne e dai bambini, le loro ferite, sono il nostro sangue e le nostre ferite. Per affermare che i governi devono proteggere i cittadini non bombardarli con ogni bomba vietata dalla legge umanitaria e affamarli nelle città come eserciti medievali. Hitler è stato fermato, ora basta Assad! Ma dobbiamo credere nelle nostre forze prima di tutto noi stessi, non aspettare aiuto dagli alti livelli. Questi si muoveranno solo se saranno costretti da un’ondata di riprovazione popolare mondiale, dei popoli uniti e solidali. In Bosnia eravamo migliaia di pacifisti di tutto il mondo verso Sarajevo con Mir Sada e poi con we share one peace, fino a che la NATO è intervenuta per liberare Sarajevo. Cosa aspettiamo?”.

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