Un pallone da calcio: la passione e la gioia di tanti maschietti. Anche di Abdulrahman, otto anni, un bambino siriano originario di Jesr alshu’ur. Sognava di diventare calciatore; il passato è d’obbligo, perché a causa di una bomba Abdul ha perso entrambe le gambe e il braccio sinistro, ormai più di venti mesi fa. Quando entro nella sua tenda, in un campo profughi della periferia di Idlib, lo trovo sdraiato su un materasso; la sorellina, vicino a lui, sta disegnando. “Guarda Abdul, questa signora è una giornalista, sai da dove viene? Dall’Italia”. Il piccolo mi guarda: ” Conosci la Giofentus? Però mi piace anche il Barciluna”. Gli dico che conosco la Juve; “Sei brava allora. Volevo diventare un calciatore, ma bashar mi ha rubato le gambe e i sogni. Quale squadra vuole uno senza gambe e senza un braccio”? Il suo sospiro è un grido di dolore soffocato. La madre mi racconta dell’esplosione, del calvario tra gli ospedali, delle promesse di ong di aiutarli. Prima mi autorizza a fare una foto. Poi mi prega di cancellarla: “Abbiamo paura”…