Dall’altra parte del mare – Primo incontro

Il coraggio e la sofferenza delle donne siriane

 

Sofferenza donne e bambini siriani Rana Alzen è una madre di famiglia che da due anni si dedica anima e corpo al volontariato, muovendosi tra Turchia e Siria. Mi racconta che la sua associazione ha creato piccoli laboratori di sartoria, dando così lavoro a molte donne, grazie a finanziamenti mirati. Hanno realizzato mille camici da medico odontoiatra e ora cercano acquirenti. Hanno in progetto di realizzare laboratori di pasticceria e artigianato, consentendo a quelle donne e quegli uomini che avevano una simile attività di riprendere a lavorare; un altro progetto importante è l’acquisto di  roulotte per i profughi che sono nelle tende.  D’inverno, spiega, nelle zone del Nord nevica e piove, mentre d’estate il caldo è torrido: vivere nelle tende significa essere continuamente esposti a pericoli e a minacce. Per fare tutto ciò hanno bisogno di un sostegno economico ingente e cercano sponsor e partner a più livelli.

Rana mi presenta una sua collega Manar, che cura, in particolare, progetti di assistenza sanitaria. In mancanza di fondi e finanziamenti, mi spiega, si può fare ben poco; inoltre c’è bisogno di personale altamente specializzato per affrontare l’emergenza a livello psicologico che colpisce sempre più persone, anche bambini. Mi racconta, ad esempio, del caso di una bambina di quattro anni, a cui è stata uccisa la madre davanti agli occhi mentre si trovavano in una scuola abbandonata di Homs, che era diventata il loro rifugio dopo che una bomba aveva distrutto la loro casa. La bimba mangia pochissimo e non parla e si sveglia tutte le notti gridando, chiedendo di tornare alla scuola di Homs per riprendere sua madre. La piccola è arrivata a comportamenti di autolesionismo come strapparsi i capelli graffiarsi il viso. Come questa piccola, mi racconta, ce ne sono migliaia e manca totalmente assistenza psicologica. Un’intera generazione è vittima di gravi problemi di psiche dovuti proprio alla violenza. Mentre per gli interventi sanitari l’arrivo di medici volontari dall’estero sarebbe un toccasana, spiega, per quanto riguarda la sfera psichiatrica e psicologica è fondamentale che il professionista parli la stessa lingua della gente e questo è un problema da affrontare con urgenza.

Manar solleva poi un altro problema importante: quello della mancanza di un’adeguata educazione sanitaria e sessuale. Nei campi profughi e nelle città assediate per le donne non ci sono ginecologhe e ostetriche, né farmaci specifici, con tutti i problemi che ne conseguono. Poi aggiunge che serve anche un’approfondita educazione religiosa. Le chiedo perché e mi dice che l’esasperazione, le privazioni, le violenze, stanno compromettendo la natura delle persone, che a volte per disperazione smettono di essere solidali tra loro e commettono atti gravissimi, come il suicidio, in aumento vertiginoso, o l’accettare di dare in spose le loro giovanissime figlie, con la speranza di sottrarle alla povertà e liberarle dalla prigionia dei campi profughi. In realtà, afferma, se ci fosse una forza morale e spirituale più forte, le persone vivrebbero il loro dramma come una prova a cui Dio le ha poste e porterebbero pazienza, senza mai cedere a compromessi simili. Ma la disperazione rende l’essere umano molto vulnerabile, conclude.

Già, è molto facile da fuori giudicare sparare sentenze, ma quando ci si rende conto da vicino di questo dramma, che ormai dura da oltre 29 mesi, si comprende che il dolore e l’ingiustizia provocano inesorabilmente altro dolore, altra ingiustizia. L’essere umano viene privato della sua stessa natura. Basterebbe immaginare di essere al posto di queste persone per fare un bagno d’umiltà … Mentre mi parla ho un nodo alla gola. La guerra deforma tutto, la guerra uccide fisicamente, moralmente, senza lasciare scampo. Mi parla poi delle migliaia di donne e bambine stuprate, senza alcuna assistenza psicologica, né sociale, lasciate al loro dolore, alla loro solitudine. Mi racconta di una donna conosciuta in un rifugio di Hama che le ha chiesto aiuto per la figlia di 14 anni: la piccola è stata sequestrata e stuprata ripetutamente per settimane, prima di essere gettata in una strada, dopo essere stata presa a calci e pugni. È viva per miracolo, è traumatizzata ed è incinta. Il figlio dei suoi aguzzini non lo vuole, ma è già al quinto mese. “Aiutami a trovarle un marito che la capisca e la protegga, l’ha supplicata la donna, non voglio che le accada quello che è accaduto a me trent’anni fa”. Manar mi dice di aver sentito il cuore fermarsi: madre e figlia accumunate dallo stesso destino: un sequestro, uno stupro, la nascita di un figlio indesiderato. La madre, trent’anni prima, aveva lasciato il figlio in un orfanotrofio e dopo diversi anni si era sposata, dando alla luce una figlia. La bimba che ha subito il suo stesso destino.  Che prezzo devono pagare le donne quando chi dovrebbe tutelare la loro incolumità, le forze dell’ordine, diventano i loro spietati aguzzini?

Un altro dramma nel dramma è la situazione di persone affette da malattie degenerative e croniche, da handicap, o da tumore: per loro non esiste alcun sostegno specifico. Sarebbe necessario creare dei progetti mirati, altrimenti la loro condanna a morte è come firmata: non ci sono farmaci, non ci sono strutture adeguate, non c’è nulla. Sono in aumento, inoltre, le nascite di bambini con gravi malformazioni; anche per loro non esiste un aiuto. Il loro destino è tristemente segnato.

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