La denuncia: schiave del Daesh rinchiuse coi loro carnefici

Sono 400 le donne turkmene e irachene detenute al confine con la Turchia. Con loro le mogli dei terroristi che le perseguitano. L’accusa di al-Salhi, capo della Commissione diritti umani di Baghdad

Prima schiave del Daesh. E ora vittime imprigionate con i loro stessi carnefici. È la denuncia da Arshad al-Salhi, capo della commissione per i diritti umani nel Parlamento iracheno e leader del Fronte Turkmeno, che nei giorni scorsi ha firmato un documento in merito alla presenza di oltre 400 donne turkmene e irachene in diversi campi di detenzione in Siria. L’inchiesta richiama al fatto che tra il 2014 e il 2017 il Daesh ha sequestrato, schiavizzato e venduto almeno 400 donne di origine turkmena e irachena e che quindi queste ultime non possano essere trattate da complici del Califfato, ma da vittime dello stesso.

Alcune delle donne sono nella prigione di Afrin, al confine turco-siriano; erano scappate dai campi di detenzione del Daesh in Siria e sono state fermate e arrestate dalle autorità turche. I campi in questione sono nelle città di Hasaka, Raqqa, al-Sad, Abu Khashab, Abu Haman e al-Hol, dove sono imprigionati membri del Daesh e loro familiari, tra cui moltissimi bambini. Le condizioni di vita all’interno di queste realtà, come più volte denunciato dalle Nazioni Unite, sono estremamente precarie, sia sotto il profilo medico-sanitario, che sotto il profilo della sicurezza. L’80% degli abitanti di queste prigioni a cielo aperto sono bambini e donne, e tra le tende, vittime e carnefici si confondono.

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