Iraq, è un momento cruciale

Cosa siamo disposti a fare per la libertà e per i diritti umani di tutti? Ce lo insegnano i manifestanti che, in ogni angolo del mondo, Libano, Iraq, Iran, Cile, Azerbaijan, scendono in piazza pacificamente per manifestare, anche a costo della vita contro la corruzione del sistema e per chiedere riforme. Osservare e ascoltare quelle piazze aiuterebbe ad aprire gli occhi sul mondo, a capire, ad esempio, che in Medio Oriente non ci sono solo regimi e terroristi, ma esiste una società civile che rivendica i propri spazi e la propria dignità. Intano il 17 dicembre sono stati rilasciati i due attivisti, Omar Kadhem Al Ameri e Salman Khairallah, per cui si erano mobilitati in molti. 

 

In questi giorni il giornalista Amedeo Ricucci, storico inviato del TG1, è a Baghdad, tra i giovani di piazza Tahrir. La sua è una testimonianza dal campo, autentica e aggiornata, che dovrebbe aiutarci ad aprire gli occhi.

“Questo è un momento cruciale per l’Iraq. Nei primi giorni delle manifestazioni in piazza c’erano decine di migliaia di persone, giovani, anziani, donne; ora c’è meno gente a causa della repressione del regime. Ci sono arresti, sparizioni forzate, denunciate dagli attivisti, ma anche da Amnesty International. Una questione portata anche all’attenzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Gli attivisti sono barricati in piazza insieme ai giornalisti; come ci si allontana, nei vicoli e nelle stradine limitrofe a Piazza Tahrir, si rischiano accoltellamenti, sequestri. Amnesty ha denunciato 48 sparizioni solo a Baghdad, ma il numero dei desaparecidos potrebbe essere molto più alto, perché non sono comprese nella conta le persone che vengono da altre località. Il regime elimina e blocca gli attivisti più rappresentativi e sparge il terrore tra la gente. Le attiviste donne sono quelle che rischiano di più: contro di loro, infatti, viene usata anche la violenza sessuale; gli abusi vengono ripresi, per usare i video come ulteriore arma di ricatto, offesa e dissuasione. Come dicevo all’inizio, è un momento cruciale per l’Iraq: se la piazza resiste, c’è la possibilità di andare avanti e il presidente dovrà decidere se affidare il governo a qualcun altro. Ora le piazze si stanno svuotando per colpa delle milizie pro-Iran e ci sono infiltrazioni di facinorosi, dei veri Black Bloc che vanno contro il desiderio e l’atteggiamento della piazza”.

Video: “I Ragazzi di Piazza Tahrir”

È possibile tracciare un profilo dei manifestanti?

“In piazza c’è la società civile irachena, giovani e giovanissimi, donne, esponenti del mondo culturale, dei sindacati, dell’associazionismo. Hanno portato in piazza persino librerie, a conferma degli intenti pacifici dei dimostranti. La gente arriva da Mosul, da Erbil, da Sadr City. Ci sono sunniti e sciiti insieme. È commovente vedere di nuovo insieme iracheni di ogni etnia e confessione, animati dagli stessi intenti, uniti dalle medesime intenzioni. È una novità importante del dopo-Isis; la guerra al califfato ha fatto saltare tutte le divisioni; oggi la gente chiede di porre fine a un sistema corrotto che ha ulteriormente aggravato le condizioni di vita di tutti. L’ultima guerra ha provocato oltre 12mila vittime, la gente è stanca di veder morire innocenti, per questo oggi si impegna per i diritti di tutti, contro il bigottismo e i bigotti che governano il Paese”.

Come si inserisce l’Iran in questo quadro complesso?

“Un elemento di grande interesse è proprio il forte sentimento anti-regime iraniano. La gente racconta il cambiamento e lo sfruttamento subito dal 2003, quando gli americani hanno dato il potere agli sciiti. Di fatto l’Iran è riuscito a bypassare le sanzioni perché si è accaparrato le risorse irachene e perché qui ha alcune banche che acquistano valuta straniera e la portano all’interno del loro Paese”.

Eppure di Iraq e delle piazze mediorientali non si parla…

“I riflettori sul Medio Oriente, purtroppo, si accendono a comando, solo se c’è una strage. C’è una sorta di retro-pensiero nel mondo occidentale, per cui le nuove primavere arabe si spegneranno, ma se si guarda all’Iraq, all’Iran, al Libano si comprende che fanno parte della stessa onda lunga del 2010. Questi ragazzi hanno anche il vantaggio di fare tesoro degli errori del passato, delle esperienze di altre piazze. Nella percezione occidentale invece, le primavere arabe sono state un fallimento e ci si convince che si stava meglio prima. Non hanno capito niente di questa ondata. I giovani di Baghdad sono come i giovani di Tunisi, Damasco, Roma, Parigi, Santiago. Sono giovani che crescono su internet, figli della globalizzazione, senza gap culturali e religiosi. Vogliono libertà, diritti umani, opportunità, sono stanchi della corruzione e della censura.  In occidente si sottovaluta la portata di ciò che succede. Le primavere arabe hanno avviato un lungo processo, vinto dal potere, ma hanno gettato semi che oggi producono frutti”.