15 marzo 2015: oggi ricorre il IV anniversario dall’inizio delle violenze in Siria. Inizia il quinto anno di ingiustizie e atrocità ai danni della popolazione e ancora non si vede l’uscita da questo tunnel. L’unica certezza, attualmente, è che in Siria si sta consumando la più grande emergenza umanitaria del nuovo secolo, con più di metà della popolazione senza un tetto sopra la testa e che si è rifugiata in tendopoli, campi profughi, rifugi per sfollati. Milioni di persone ormai dipendono solo dagli aiuti umanitari e spesso questi ultimi non riescono a raggiungere alcune zone, in particolare le città sotto assedio. Oltre al danno, la beffa, perché l’indifferenza politica e mediatica su questa tragedia ha lasciato spazio a un vuoto di conoscenza che lentamente si è riempito di pregiudizi, mezze verità e propaganda. Dal nulla alla divulgazione quotidiana (senza verifica alcuna) di notizie, filmati e proclami dell’Isis, tanto che oggi buona parte dell’opinione pubblica crede che Assad sia l’unica salvezza contro questa formazione terrorista. Si riabilita l’immagine del carnefice in giacca e cravatta perché sembra migliore rispetto ai carnefici barbuti e ci si dimentica delle vittime.
Di certo non era questo lo scenario che immaginavano i siriani nel 2011 quando hanno violato, dopo quasi mezzo secolo, l’ordine di coprifuoco, riempiendo pacificamente le piazze per chiedere islahat, riforme e horrye, libertà. La goccia che fece traboccare il vaso fu il drammatico episodio dei bambini di Dar’à, arrestati, torturati e uccisi per aver scritto sul muro della loro scuola “Il popolo vuole la caduta del regime”, riprendendo lo slogan che veniva ripetuto in quel periodo nelle piazze di molti paesi arabi. Da allora ogni giorno manifestazioni, cortei, attività pacifiche di giovani siriani desiderosi di un cambiamento radicale che portasse alla fine della tirannia e all’inizio di una nuova era per il popolo siriano.
Cosa è rimasto di quel movimento dal basso fatto di giovani, donne e uomini, che hanno creduto veramente di rovesciare il tiranno con la sola forza delle loro voci, dei loro balli, dei loro disegni e delle proprie foto e video camere? Molte delle anime della rivoluzione siriana non ci sono più: uccise senza pietà, recluse nelle carceri del regime, dove si pratica la tortura, fuggite. Chi è rimasto in vita ha spesso dovuto fare i conti con i nuovi nemici della Siria, quei mercenari che stanno conducendo una guerra per procura nelle città siriane, contribuendo a distruggere il patrimonio umano e culturale di questa terra millenaria. Ma la fiamma della libertà arde ancora e gli attivisti siriani ripetono oggi quella stessa parola che nel marzo 2011 ha riempito le piazze siriane: horrye, libertà. Se allora si chiedeva libertà solo dal regime della dinastia degli Assad, oggi si chiede libertà contro il regime e contro Isis. Perché la Siria è dei siriani, di tutti i siriani, di tutte le etnie e religioni.
Ora sta anche ai siriani all’estero, al mondo del volontariato e dell’associazionismo tenere viva quella fiamma, mantenere alta l’attenzione su questa tragedia. Davanti agli occhi lo scenario è desolante. Dopo quattro anni il paese è un’infinita distesa di macerie, ma quello che il silenzio ha distrutto è ben più grave: l’anima dei siriani, quel senso di unione e coesione sociale per cui si cantava “al sha’ab al sury wahed”, “ il popolo siriano è uno e indivisibile”, che oggi è fortemente minacciato dalla deriva settaria. Da un lato il regime non esita a strumentalizzare le minoranze religiose come quella cristiana, che come tutto il resto del popolo ha subito i bombardamenti e l’assedio, per ergersi a baluardo della laicità, mentre i terroristi distruggono tutto ciò che capita loro a tiro infangando il nome dell’islam del quale si sono indebitamente appropriati. Religiosi e religioni usati da una parte e dall’altra per alimentare la propria propaganda. Un’ulteriore offesa allo spirito laico della rivoluzione siriana che proprio nella sua laicità vedeva uniti i figli del popolo in tutte le loro diversità, etniche, religiose e culturali.
Mentre ci fermiamo a ricordare questo anniversario, il regime continua i bombardamenti, Isis continua a uccidere, la resistenza siriana annaspa e il caos segna sovrano. Inizia il quinto anno di genocidio.
Homs, località di Baba Amr, manifestazione del 28 ottobre 2011
Bombardamenti su Homs, località Baba Amr, 22 febbraio 2012
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