Quando ero sui banchi di scuola guardavo la Guernica e faticavo a capire perché quelle figure ai miei occhi deformi dovessero essere considerate un’opera d’arte. Sono dovuta arrivare al liceo per leggere questa affermazione dell’autore del celeberrimo quadro, Pablo Picasso:
“A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”.
Allora ho cominciato a guardare la Guernica con occhi diversi. Ho cominciato a leggere della guerra civile spagnola, dei bombardamenti, dei morti, della distruzione, della sofferenza. Ho così cominciato ad amare Picasso, a comprendere la sua arte, a leggere il suo dolore, il suo sentimento, riuscendo in un certo senso ad entrare in empatia con lui. Avevo le idee chiare sul fatto che da grande avrei fatto la giornalista: passavo le mie giornate a leggere e mi cimentavo scrivendo degli orrori prima in Iraq, poi in Bosnia, poi di nuovo in Iraq, in Afghanistan, senza mai dimenticare la Palestina. Non so come, ma il tempo è passato…
Oggi guardo la Guernica con gli occhi di un’italo-siriana che ha visto il suo paese solo nelle foto di altri e nei suoi sogni; guardo la Guernica con gli occhi di chi non si trova di fronte ad una guerra civile, ma a uno sterminio, un massacro, un genocidio; guardo la Guernica e ora l’empatia la provo con i soggetti ritratti… Gli orrori della guerra ti rendono deforme, ti fanno sentire il peso del silenzio e ti assordano con le urla di dolore, ti fanno perdere l’orientamento, il senso della vita, gli affetti, la speranza, la luce; non vedi più il cielo, non vedi più te stesso, né gli altri… ; tu non sei più tu, gli altri sono te, tutti non sono nessuno…; vedi solo un’immensa distesa di sofferenza.
Oggi vivo la mia Guernica siriana, mi sento come intrappolata nella tela, chiusa in uno schermo da cui giungono notizie di morte, di sangue, di bambini uccisi, donne stuprate, anziani riversi per le strade, giovani che si deformano e che da raggi di sole diventano frecce di guerra…
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