Non so da dove cominciare. Forse va bene dall’inizio. Respiro profondamente, ce la posso fare. Sono sul mio blog e questo non è un articolo di giornale. Userò la stessa onestà intellettuale, ma qui posso anche avere un po’ di emozione in più.
Manco da settimane, anzi da mesi, e in questa umida sera di settembre torno a casa, perché per me che sono nata scrivendo casa è quel posto meraviglioso dove vivono le parole. Sono di nuovo a casa tra le mie parole e la mia Siria. Non so dove sono stata per tutto questo tempo, ma la mia assenza si è riempita di momenti non facili. Non scrivere per me è come stare in apnea per un tempo superiore alle mie possibilità. Nulla e nessuno mi ha impedito di aggiornare il mio Diario di Siria, ma dopo tanti anni, mi sono fermata. Mi sono seduta sul ciglio della mia stessa vita che si frantumava in mille granelli di polvere, incapace di ricomporsi. Ho ascoltato il silenzio tutto intorno e soprattutto i silenzi che avevo dentro, lasciando parlare per me il mio “Silenzio del mare”, il romanzo dedicato alla Siria in cui sono riuscita a incastonare una parte del mio cuore prima che tutto si fermasse.
Sono qui. Oggi pomeriggio c’è stato un bel temporale, ci sono stati tuoni molto forti e io, da sempre, adoro i temporali. Mentre l’acqua scorreva ero ferma alla finestra e mi godevo le gocce che cadevano disordinate. Ho sentito che potevo smettere di girare intorno alla mia ferita e che potevo finalmente tornare a casa per curarla. Perché scrivere è un po’ come andare in bicicletta, anche se si smette di farlo per un certo periodo, appena si ricomincia tutto va sé. All’inizio i muscoli possono tirare, ma poi si pedala e si vola. Ho sentito che potevo tornare a scrivere di Siria, pur sapendo che mi aspettano dolori e ansie.
Torno a scrivere di Siria grazie alle parole di chi, anche oggi, nonostante il dolore, i timori per il futuro e la stanchezza accumulata in sette anni di disumanità continua a sorridere e pronunciare le parole libertà e dignità, horriye wa karama. Baciati dal sole di un settembre ancora caldo, oggi infatti tanti giovani, donne e uomini, sono scesi nelle strade di Idlib con coraggio per dire che sono ancora vivi e che finché avranno respiro vogliono continuare a chiedere libertà, che le loro vite non appartengono né al regime, né ai terroristi. Non se ne è parlato sui giornali ed è un peccato, perché osservare un popolo resiliente, minacciato di nuove stragi nei prossimi giorni o settimane che trova ancora la forza di sognare ed esprimere la propria voglia di vita, è toccante.
Torno a scrivere perché l’ho promesso a tutti i colleghi che in questi anni non si sono mai tirati indietro e continuano a pagare per il loro coraggio. Molti sono spirati, uccisi mentre lavoravano per raccontare la Siria al mondo; molti sono finiti nelle carceri, molti altri sono fuggiti, ma in molti, ancora, resistono. Lo devo a tutti i colleghi siriani e ai colleghi di ogni parte del mondo che si sono spesi e si spendono per raccontare una crisi complessa, dove sul piano mediatico si sta usando tanta violenza quanto quella che si usa sul campo. Lo devo agli amici che mi aspettano, ai miei lettori, che nel tempo sono aumentati e che, come me, cercano di capire, di documentarsi.
Ho rotto il muro in cui ero finita per circondarmi e torno a scrivere, anche se sono perfettamente consapevole che sarà dura. Non solo per quello che potrebbe accadere a Idlib, ma anche per tutto quello che continuerà a riguardare la Siria. Perché la crisi siriana non è solo quella delle armi, ma anche quella dove le armi tacciono, quella che riguarda i desaparecidos, i profughi, gli sfollati, tutti quei cittadini che non avranno mai più il coraggio di esprimersi e subiranno passivamente le decisioni di altri, pur di sopravvivere. Scriverò per loro perché la narrazione manichea per cui in Siria o si è sostenitori del regime o si è sostenitori dei Daesh è delirante e milioni di civili meritano di avere voce. Perché i siriani hanno una loro voce, che non è quella dei potenti del mondo che stanno decidendo sulla loro pelle.
Stringo l’anima tra i palmi delle mie mani e lascio correre sulla tastiera le mie dita. Lo so che sarà doloroso, ma ora che sono qui sto bene.
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