Durante il tragitto non nego che avrei voluto piangere. Piangere come un bambino siriano

Nicola Fornoni 14 settembre 2013La storia straordinaria di Nicola Fornoni, che sulla sua carrozzella ha percorso le vie di Brescia per dire No all’indifferenza e al silenzio sul dramma siriano

Nicola, come è stato il tuo primo incontro con la Siria?

“Ho saputo della Siria solo una ventina di giorni fa. Ho voluto approfondire, perché non mi sembrava giusto lasciare nella totale indifferenza una situazione di questa importanza. Ho iniziato ad ‘informarmi’ tramite telegiornali. Se davvero si può dire informarsi… Giornali, quotidiani. Della Siria conoscevo poco, anche tutt’ora. Devo informarmi molto di più. Ad approfondire le notizie mi ha spinto la curiosità, ma soprattutto la voglia di scoprire delle situazioni reali”.

Una performance nel cuore di Brescia, come è nata l’idea?

“Dunque: credo che ognuno abbia i propri mezzi, il proprio linguaggi con cui comunicare. Dopo essermi documentato su ciò che sta accadendo in Siria, mi sono detto che dovevo assolutamente fare qualcosa per la sua popolazione, qualcosa che potesse essere forte, incisivo, importante. Studio Arti visive presso l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia a Brescia. Sono all’ultimo anno. L’istinto è stato quello di partire subito come volontario per fare qualcosa, per dare un aiuto che potesse far risplendere qualche vita in più. Ma essendo disabile ed economicamente non troppo benestante, nel senso che non potrei fare grandi donazioni da benefattore, allora ho pensato, studiato e riflettuto sulla possibilità di creare una performance con una valenza sociale. Io, come artista, sono molto legato a queste tematiche di disagio, inadeguatezza, guerra, diversità razziali, differenze sociali. Lavoro soprattutto con il mio stato di disabile, con il corpo, la sofferenza, l’inadeguatezza in una società fatta di barriere architettoniche. Devo dire, affermo che questa Save Syria over 100.000 (titolo della performance) è la mia seconda azione performativa fatta in pubblico. E l’idea di fare una performance a Brescia… Beh sono bresciano, è la mia città, una città che a volte puzza di razzismo, di indifferenza, di perbenismo inadeguato ed indifferente alle tematiche sociali. Figuriamoci se si possa interessare della Siria. Parlando della guerra in Siria mi sono sentito rispondere: ‘di che cosa ti preoccupi sono problemi che devono risolvere loro’. No. Non accetto certe esclamazioni, non accetto un razzismo derivato da ignoranza, individualismo. Non lo accetto soprattutto da persone che si dichiarano cattoliche cristiane. Ascoltano che siamo tutti fratelli e poi lasciano con spregiudicata e fredda indifferenza morire migliaia di persone. Insomma: parte dei bresciani ragiona cosi, ragiona con il proprio ego, con il proprio Io superficiale. Collegare poi due piazze come piazza Garibaldi e piazza Arnaldo, un percorso di due chilometri nel centro storico, nel cuore di Brescia… Garibaldi ha unito l’Italia, è stato un rivoluzionario, ha partecipato ai moti del ‘48 ha guidato le truppe garibaldine nelle battaglie più importanti dell’800 italiano e Arnaldo da Brescia, anche lui un rivoluzionario, un padre agostiniano contro il potere temporale della Chiesa. Contro lo sfarzo, contro l’oro, contro le ipocrisie superficiali di un credo portato verso il materialismo. È stato ucciso per questo, per aver protestato. Un po’due figure che rispecchiano la rivoluzione, la rivoluzione da cui ho preso spunto per la performance come ho scritto nel comunicato stampa. Volevo rifarmi al quadro del pittore Delacroix “La libertà che guida il popolo”. Performance a Brescia poi proprio il 14 settembre. Non l’ ho scelto apposta, ma il 14 settembre qua a Brescia c’era Brescia in Fiore, BMODE tre giorni di moda. Volevo passare e lasciare un segno. Come per dire: che cosa state facendo? Vi preoccupate di voi, della moda, del giardino mentre 120.000 vostri fratelli siriani se ne sono andati?”.

Nicola FornoniCome giovane italiano, come trovi l’informazione sulla Siria?

“Trovo l’informazione, la comunicazione, i media italiani veramente scandalosi. Mi confondono parecchio. Anche perché ora che sto cercando una verità ed è difficile avere con chiarezza la situazione reale mentre i media borbottano tutt’altre cose. Trovo, forse un po’ più coerente La Repubblica. Con tutta questa disinformazione, boicottaggio delle informazioni, mi viene in mente Il Grande Fratello, George Orwell 1984 mi viene in mente Nietzsche con la ripetitività della Storia. E l’uomo, le nazioni, i capi di stato non imparano nulla; sembrano sempre nati ieri. Come la guerra civile in Rwanda,  negli anni ’90, con gli hutu e i tutsi, la Francia voleva attaccare, gli Usa erano in forse. Insomma, ho scoperto tante verità chattando con gente più informata di me, giornalisti che seguono la Siria già dalle primavere arabe dal 2011, dal’inizio della rivoluzione pacifica. Ho contatti con varie onlus e ora dovrei, per avere un’informazione più accurata e specifica, leggere il numero di Marzo di Limes. Terza guerra mondiale in Siria. Dei giornali, dei TG, non mi fido più”.

Che cosa vorresti che si facesse per la Siria oggi?

“Per la Siria? Potrebbe sembrare banale. Vorrei la pace assoluta, la democrazia. Vorrei i campi verdi e le città pullulanti di persone che vanno al lavoro, a scuola, a divertirsi, a parlare nei giardini tranquillamente. Vorrei che le nazioni trovassero un accordo, vorrei che Assad fosse deposto. Vorrei che non ci fossero più governi di dittatura totalitaria e terroristica. Concretamente appoggio l’idea dei ribelli. Ho portato una bandiera ieri della rivoluzione siriana: non potrei fare diversamente. Vorrei serenità. Una Siria libera. Senza libertà come si fa a portare avanti una famiglia? La libertà è il bene, è un valore fondamentale. Libertà di parola, di religione, di espressione, opinione in una dittatura tutto questo non c’è. Per la Siria vorrei che non ci fosse più una dittatura. Magari una repubblica”.

Ieri ti sei impegnato personalmente, con un grande sforzo fisico e morale, portando in giro nella tua città la bandiera siriana dell’indipendenza: cosa ti ha spinto a farlo?

“Dunque. Devo dire che ero veramente stremato verso la fine. Mi sono allenato parecchio. Ero allenato per i quattro chilometri. Questi erano due,  ma con l’emozione e il profondo sentimento di solidarietà, sofferenza, tristezza, è stata dura andare avanti. Ero carico, intenzionato a far vedere ai bresciani di cosa noi, un gruppo di sessanta persone, eravamo capaci di fare. Capaci di dare voce, seppur in totale silenzio, ad un popolo represso dalla violenza e dall’indifferenza. Mi dicono che abbia avuto coraggio, tenacia, forza. Ma durante il tragitto non nego che avrei voluto piangere. Piangere come un bambino di Aleppo, di Homs, di Dar’à. Traggo un pezzo di testo che ho scritto stamattina per una riflessione post performance:

Mentre mi spingevo, percorrendo la strada, mi sembrava di sentire le bombe, le granate, l’odore del gas, della polvere, le grida di Aleppo, i sogni svaniti dei bambini di Homs, i pianti di Dar’à. Ero con loro. Ero uno di loro. Stavo partecipando ad una sofferenza comune. Sentivo il peso, la responsabilità nel portare due bandiere cosi forti dal punto di vista simbolico, ideologico, patriottico. Ci pensavo. Mi veniva da piangere perché consapevole di cosa stavo facendo: stavo portando, ideologicamente, il cuore sanguinante della popolazione siriana, il dolore di un popolo oppresso da una tirannia fratricida, parricida, omicida. Lo stavo portando tra la gente. Le persone là hanno sicuramente sofferto pi di me. a mia è una sofferenza di un giorno. Ha richiesto impegno, disciplina, costanza. Ma come potevo non soffrire per una nazione che lo sta facendo da due anni? Volevo essere vicino a loro in tutto e per tutto’”.