Wassim Mukdad, musicista e attivista siriano, attualmente rifugiato in Germania è uno dei testimoni chiave del processo di Koblenz, la Norimberga siriana, e il 23 aprile era presente in aula durante la lettura dei capi d’imputazione.
È cominciato in Germania il processo contro Anwar Raslan e Eyad al-Gharib, due cittadini siriani accusati di aver commesso torture in Siria, che hanno chiesto l’asilo in Germania ma che in precedenza hanno fatto parte dell’apparato dei servizi siriani che ha arrestato, torturato e ucciso manifestanti e i membri dell’opposizione. I due uomini hanno disertato il regime, ma questo non ha precluso loro l’accusa. È il primo processo al mondo per crimini contro l’umanità nella guerra civile che ha dilaniato il paese.
Ecco l’intervista di Costanza Spocci su Radio3 Mondo
Wassim Mukdad:
“Grazie mille innanzitutto dell’invito. Tutto è iniziato nel 2011, quando ho iniziato a prendere parte alle manifestazioni che chiedevano maggior libertà in Siria, dove la società civile chiedeva maggiori diritti e più democrazia. Era quello che chiedevano tutti movimenti che scendevano in piazza a quel tempo. Mi è capitato di essere arrestato per questo. E la seconda volta sono stato rinchiuso nella stessa ala della prigione in cui si “presume” lavorasse anche Rasslan. Sono stato torturato durante l’interrogatorio. Eravamo in 3 amici e tutti abbiamo subito le stesse procedure, dall’inizio alla fine. Anche le persone nella cella in cui ero, e persone in altre celle vicine, mi hanno raccontato di aver subito le stesse identiche procedure di tortura e interrogatorio. Quindi sapevo che non ero successo solo a me, ma che era qualcosa di sistematico. Durante la detenzione non ci era possibile contattare il nostro avvocato e nemmeno le nostre famiglie o amici. Nessuno ti dice nulla. Non era solo una tortura fisica, ma anche psicologica. Dal 2013 la situazione nel paese è precipitata, ed era chiaro che stavamo entrando in una guerra civile di enorme portata. Il governo aveva iniziato a usare armi chimiche…e ho iniziato a pensare: cos’altro posso fare, c’è uno spiraglio di speranza in questa follia. In quel momento ho deciso di lasciare il paese, nel 2014 sono arrivato in Turchia e dopo due anni mi sono rifugiato in Germania dove ho cercato di iniziare una nuova vita, ho imparato il tedesco e mi sono concentrato sul mio lavoro di musicista. Non sapevo che i gruppi di diritti umani in Europa stavano preparando un dossier per aprire questo caso e andare a processo contro ufficiali siriani. L’anno scorso, per puro caso, ho incontrato un’amica avvocatessa a Berlino e mi ha chiesto se avrei voluto testimoniare contro Anwar Raslan e Eyad al-Gharib e io le ho risposto: certo che lo farò.
Incontrarli e confrontare i miei torturatori al processo è stato piuttosto inquietante, con un misto di sensazioni: sollievo e speranza. Ci sono state un paio di volte, durante la lettura dei capi d’accusa, in cui i loro sguardi e il mio si sono incrociati per un momento e nei loro occhi non ho neanche un’ombra di rimpianto o dispiacere. E sono contento che questo processo non si tenga in Siria, e che non siano al di sopra della legge. Spero che qui avranno una giusta punizione per quello che hanno fatto.
Credo che questo processo sia un’occasione per far sentire la voce delle vittime, di chi è ancora vivo e di chi è morto, se c’è un modo per restituire dignità alle vittime, render conto delle loro sofferenze di dire chiaramente e ad alta voce: questo non è accettabile. Se questo processo avrà un esito positivo, lo sarà per tutta l’umanità“.