Bambini e prigionieri che muoiono di fame in Siria

Al Ghouta12 novembre 2013, Mliha – periferia di Damasco

Si può morire di fame in un paese dove la terra è fertile, dove ci sono coltivazioni di ogni tipo, allevamenti, dove ci sono fiumi e dove c’è anche il mare? La risposta dovrebbe essere no, in una condizione di vita “normale”, dove i prodotti possono circolare e le persone possono acquistare ciò che serve loro o ciò che il loro stipendio consente loro di scegliere. Ma qui non si tratta di rinunce dovute a difficili condizioni economiche; non si tratta nemmeno di una situazione di improvvisa siccità, né di una catastrofe naturale.

Se oggi ci sono persone in Siria che muoiono di fame, la causa è una: la prigionia. Ci sono prigioni a cielo aperto, ovvero interi quartieri, villaggi e città tenuti sotto assedio dalle milizie governative, come accade nella periferia di Damasco ad esempio, in località Mliha, dove è stata scattata questa foto.

946045_544316882315204_1063985659_nAltre prigioni sono quelle dove centinaia di migliaia di persone  – si parla di almeno 200 mila, tra cui ci sono anche bambini, sono detenute per reati di opinione, in condizioni disumane, come mostra la seconda immagine.

Bambini e adulti lasciati soffrire, lasciati perire lentamente, in un’agonia atroce, crudele; privati del cibo, di acqua potabile, di medicinali e cure, senza la possibilità di avere un riparo, abiti con cui scaldarsi. Senza nulla.

Queste immagini sono una macchia nera sulla coscienza di ogni essere umano: non si può mai accettare la morte di un innocente, ma se questa morte è volutamente provocata da un’arma chiamata assedio e la comunità internazionale preferisce discutere su come spartirsi potere e ricchezza in Siria, invece che discutere su come salvare vite umane, significa che si è diventati tutti complici di un genocidio.

Nella seconda foto il martire Adnan Zeino