Per non dimenticare: la piccola Nasr, un angelo morto di stenti

Nasr 4 aprile 2012“Homs, quartiere di Al Khaldiya: una neonata di appena un mese di vita, indescrivibilmente magra, emette qualche timido vagito, avvolta in una copertina azzurra. La tiene in braccio una donna, che lascia scoperti solo gli occhi per rispondere alle domande del giovane che la sta riprendendo. “Cosa vuoi che ti dica? Guarda, guarda con i tuoi stessi occhi. Ti sembra un essere umano questo? Ti sembra normale? Non ha nemmeno la forza di piangere, sta morendo di fame ed è gravemente malata. Nemmeno agli animali si riserva questo trattamento. La madre l’ha partorita tra le macerie, in un alloggio dove nemmeno le bestie vivrebbero, non riesce ad allattarla e la sta guardando morire. Lo sai come sta? Ti giuro che sta uscendo di testa, sta impazzendo letteralmente povera ragazza. Basta figlio mio, basta, cosa ti devo dire, tanto a chi lo fai vedere questo video e cosa faranno? Non faranno nulla, il mondo ci sta guardando mentre moriamo; anche gli arabi ci hanno voltato le spalle, ma abbiamo il Signore e Lui giudicherà chi sta lasciando agonizzare questa bambina”.

Erano  le due di notte del 4 aprile 2012 quando mi è arrivato questo video-messaggio; a quell’ora sono ancora incollata al PC: cerco, traduco, commento e posto notizie dalla Siria, fino a poco prima dell’alba, ormai da mesi. Il sangue si gela nelle vene: la bimba sembra uno di quegli angeli vittime di carestie; eppure non si trova in Africa, dove c’è siccità e deserto, ma in Siria, dove nessuno ha mai sofferto la fame, almeno non prima dell’inizio della sanguinaria repressione scatenata dal regime di assad contro il suo stesso popolo, che ha osato invocare la caduta del regime. Con l’informazione imbavagliata e il divieto ai giornalisti stranieri di entrare in Siria, il racconto in diretta del massacro che si sta compiendo, ormai da più di un anno, è affidato al coraggio e alla determinazione dei giovani attivisti, che, armati di telefonini con videocamere, riprendono e fotografano ciò che accade e lo mettono in rete, rischiando e spesso rimettendoci la vita, se intercettati da un cecchino o colti dalla caduta di un ordigno. La voce del popolo siriano arriva al mondo tramite i social network che, da Facebook a Youtube, non rappresentano più uno svago o un diversivo, ma sono diventati l’unica finestra sulla Siria aperta al mondo. Sono sempre immagini forti, drammatiche, spesso precedute dall’indicazione che non sono adatte ad un pubblico di minori.

8 aprile 2012: “La piccola Nasr (in italiano Vittoria) non ce l’ha fatta ed è morta nella notte. Morta a un mese di vita dagli stenti, morta per mancanza di latte per neonati”. 

Dal marzo 2011, quando sono iniziati gli attacchi del regime di Alqardaha (città d’origine della dinastia degli Assad), contro i manifestanti che chiedono libertà,  sono morti, secondo i dati UNICEF, almeno 8000 bambini. L’infanticidio non sembra destinato a interrompersi: a tutte le ore del giorno e della notte, infatti, vengono diffuse immagini di nuove vittime; sui corpicini, avvolti spesso nelle loro stesse coperte, qualche fiore raccolto sui campi e un foglio bianco dove viene scritto il loro nome e la data in cui sono stati strappati alla vita. L’esitazione della Comunità Internazionale non fa che prolungare questa tragedia; temo il giorno in cui alla storia di questa bimba verrà dato un seguito, perché, se la situazione resta così com’è, non potremo che piangere un nuovo angelo e nessuno lo può accettare. Quello di cui la Siria ha disperatamente bisogno oggi, invece, è l’immediata apertura di corridoi umanitari, che permettano l’ingresso di aiuti, soprattutto latte per i bambini e medicinali e l’evacuazione dei feriti. Le associazioni per i diritti umani, infatti, hanno lanciato un allarme che riguarda anche la situazione sanitaria nelle zone sotto i bombardamenti, dove i feriti muoiono per dissanguamento e non ci sono né gli strumenti, né il personale per intervenire”.